La dolcezza è sicuramente l’elemento gustativo caratterizzante di qualsiasi prodotto di pasticceria.
L’ingrediente principale che dona dolcezza nella maggior parte delle preparazioni è lo zucchero.
Il termine zucchero viene utilizzato in genere per definire un carboidrato avente sapore dolce.
Lo zucchero da tavola o zucchero bianco, è chimicamente un disaccaride, il saccarosio, composto da glucosio e fruttosio (due zuccheri semplici o monosaccaridi). I mono- e i disaccaridi sono i carboidrati principalmente responsabili della dolcezza dei cibi e, di questi, il fruttosio (lo zucchero presente in larga quantità nella frutta e nel miele) e il saccarosio, sono rispettivamente i più dolci.
In termini di dolcezza, il saccarosio è meno dolce rispetto al fruttosio. Fatta la dolcezza del saccarosio 1, la dolcezza relativa del fruttosio è pari a 1.73, mentre quella del glucosio è pari a 0.74. Il lattosio (lo zucchero del latte) è lo zucchero meno dolce (0.15).
E’ veramente riduttivo considerare gli zuccheri in pasticceria solo per il loro potere dolcificante. Essi svolgono numerose funzioni secondarie: agiscono come strutturanti, come umettanti, come conservanti; influiscono sulle proprietà colligative negli sciroppi; reagiscono con le proteine nelle reazioni di Maillard e caramellizzano, producendo sostanze aromatiche e imbrunimenti. Rallentano la coagulazione delle proteine e la gelatinizzazione degli amidi. Possono fornire un substrato per il metabolismo dei microrganismi nelle fermentazioni.
Tuttavia è sicuramente per la dolcezza che gli zuccheri sono entrati a far parte della storia dell’uomo.
Fin dalla preistoria, il sapore dolce era ricercato nella frutta e nel miele. Il più antico riferimento che riguarda nello specifico il miele e lo zucchero come lo conosciamo oggi è datato 375 DC, ed è stato rinvenuto in un tempio buddista del Turkestan cinese: "In India dicano esista una sostanza dolce come il miele che non richiede api per la sua produzione. E’ un succo non tossico, ricavato da una pianta che non porta frutti". Si parlava, quindi, della canna da zucchero. Si pensa che la parola zucchero provenga dal sanscrito शर्करा (śarkarā). Da studi recenti possiamo far risalire la coltivazione della canna da zucchero nel Sud Est Asiatico al 4000 AC. Circa 2000 anni fa, si è passati dall’ottenimento dello zucchero di canna dal succo estratto dalla canna da zucchero. La raffinazione è migliorata con il tempo in India, nei primi secoli DC.
La coltivazione della canna da zucchero è stata poi esportata dal mondo Islamico nel Medioevo, periodo durante il quale lo zucchero era considerato una “spezia fine”. Dal 16° secolo, la coltivazione della canna da zucchero giunge nel continente Americano, in cui avviene poi il miglioramento produttivo, dal 17° al 19° secolo; nel 20° secolo, comincia poi la produzione di zucchero estratto dalla barbabietola, degli sciroppi di mais ad alto con tenuto di fruttosio e di altri dolcificanti.
Il saccarosio può quindi derivare da due specie vegetali distinte: la canna da zucchero o la barbabietola. Nel caso della canna da zucchero, questo può essere più o meno raffinato. Alcune varietà come Panela, Jaggery, Demerara, Barbados, Muscovado, e Turbinado presentano composti secondari al saccarosio, che caratterizzano il colore e la consistenza dello zucchero. Infatti, questi zuccheri composti da saccarosio in proporzione variabile dall’80 al 92%, contengono quantità diverse di melassa, caramello e altre impurità, composti da acqua, glucosio, fruttosio, piccoli quantitativi di proteine, lipidi, minerali, vitamine e polisaccaridi, tutti presenti nello zucchero banco solo in tracce. Alcuni zuccheri di canna, come il Demerara, vengono spesso ottenuti per aggiunta di melassa a zucchero bianco.
In generale, più lo zucchero di canna è scuro e appiccicoso, maggiore sarà il contenuto di sostanze secondarie, e più forti gli aromi contenuti.
Cosa cambia, quindi, tra l’utilizzo di zucchero bianco e zucchero semolato, in pasticceria? Ci sono diversi aspetti da tenere presente:
- la dolcezza: lo zucchero di canna è leggermente meno dolce rispetto allo zucchero semolato, vista la sua composizione
- il sapore: sicuramente a livello gustativo, lo zucchero di canna risulta essere più aromatico rispetto allo zucchero semolato
- il colore: lo zucchero di canna, a seconda della quantità di melassa in esso presente, produrrà una colorazione bruna nella preparazione, non sempre desiderata
- la granulometria: come per qualsiasi zucchero, questa ha un effetto sulla solubilità, inferiore nel caso di zuccheri a granulometria maggiore
- la quantità di acqua: se si usano zuccheri di canna molto umidi, quell’umidità dovrà essere considerata all’interno dei bilanciamenti, esattamente come avviene, ad esempio, nel caso del miele (in alcuni casi, come nel Jaggery, la quantità di acqua presente può raggiungere il 20% del peso totale dello zucchero di canna)
- il valore nutrizionale: maggiore nello zucchero di canna, non tanto per i minerali (che compongono solo una piccola percentuale del peso totale del prodotto), ma per la presenza di antiossidanti negli zuccheri meno raffinati.
Non parliamo di calorie, poiché la differenza tra zucchero bianco e zucchero di canna è trascurabile. E poi, è pur sempre il 7 di gennaio, ed io appoggio pienamente la campagna di nonna Licia @buongiornononna: io, oggi, #nonmipeso.
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