So che Natale è passato da poco, che manca qualche giorno alla fine dell’anno e che c’è ancora tempo per pensare al Carnevale. Ma qui parliamo di un impasto niente male che, oltre a fare la gioia dei golosi tra stelle filanti, frappe, coriandoli e castagnole, potrebbe trasformarsi in un antipastino inaspettato per Capodanno, magari farcito con una crema salata o con una mousse di verdure.
Il bigné fritto, infatti, è caratterizzato da un impasto neutro come qualsiasi pâte à choux.
Una delle problematiche maggiori legate a questa preparazione è la sua espansione in cottura: non è per niente facile controllarla e si rischia di non ottenere bigné cavi. Invece, il bigné fritto, non è una semplice pastella. E se si chiama bigné, il nome stesso prevede che abbia una cavità che possa accogliere grandi quantitativi di ripieno.
Cerchiamo quindi di inquadrare gli aspetti fondamentali di questa preparazione.
Ho già parlato di bigné in questo post, e benché questo sia fritto, la teoria di base è la stessa.
L’espansione in cottura è legata alla grande quantità di acqua presente nell’impasto e alla temperatura. L’acqua, grazie al calore, passa dallo stato liquido allo stato gassoso.
Il vapore acqueo, aumentando di volume, spinge sulle pareti elastiche dell’impasto e si espande finché le proteine non arrivano a coagulazione e la struttura non cristallizza.
Questo tipo di lievitazione è detta fisica, perché è il risultato di un cambiamento di stato, e non della presenza di lieviti biologici o chimici.
Il fallimento, qui, è dietro l’angolo:
1) Temperatura di cottura troppo alta:
Quando la temperatura dell’olio è troppo elevata, il bigné si cuoce esternamente prima che il calore raggiunga il centro della preparazione. A questo punto, se vogliamo far cuocere l’interno del bigné, l’esterno si brucerà. In genere succede che, quando finalmente il calore raggiunge il cuore del prodotto, l’impasto comincia ad espandersi, rompe lo strato esterno del bigné, con il risultato che la forma sferica si perde totalmente e il bigné non sarà perfettamente cavo. Ora, se il bigné non è tondo, ma all’interno è cotto e fuori non è bruciato, amen. Ma attenzione poiché le cotture ad alta temperatura portano alla formazione di composti tossici.
2) Temperatura di cottura troppo bassa:
L’acqua non ha l’energia sufficiente per passare dallo stato liquido allo stato gassoso. Il risultato è che il bigné non produrrà un foro centrale e comincerà ad assorbire olio. Molto probabilmente, poi, rimarrà crudo all’interno.
Importante è poi la viscosità dell’impasto: gli impasti più sodi contengono meno acqua (ricordiamoci che è lei il nostro “lievito”) e la struttura più densa ha una più bassa velocità di trasmissione del calore.
La scorsa settimana, ho chiesto a Cristina, una mia corsista della scuola professionale di pasticceria in e-learning Mia Academy di cui sono responsabile (potete seguire Cristina sulla sua pagina Instagram @millefrolleblu e la scuola a questo link) di fare delle prove di cottura, variando la temperatura, e aumentando l’idratazione dell’impasto del bigné.
La temperatura di cottura ottimale è circa 160 °C. Questa temperatura permette un’espansione senza formazione immediata di crosta. Anche qui, fate delle prove, perché ci sono altri fattori che determinano l’abbassamento o l’innalzamento di temperatura dell’olio:
1) La quantità di bigné che inserite nella padella
2) La grandezza dei bigné
3) Quanto il vostro impasto è denso
4) Il materiale con cui è fatta la padella (meglio preferire una padella sottile, per riuscire a “governare” meglio la temperatura)
5) La quantità e qualità del grasso usato…
L’impasto del bigné fritto deve essere ben idratato. Più è idratato e più si espanderà.
Ovviamente la viscosità dell’impasto non deve essere troppo bassa (non dobbiamo ottenere una pastella).
Allego le foto dell’impasto più idratato che Cristina ha preparato. Ci si può spingere anche un po’ oltre.
Insomma, provate, provate, provate cambiando una sola variabile alla volta.
Aspetto i vostri risultati!
A presto.
PS: è vero, i miei studenti non hanno vita facile, ma sono certa che, un giorno, tutti i loro sforzi saranno ripagati. Prima o poi, si raccoglie.
PS: la foto di copertina è della mia corsista Anna Noschese @dolci._.tentazioni